giovedì 20 dicembre 2018

Comunità senza "piazza"



Non ci conosciamo, ci incontriamo poco, parliamo meno, beviamo e bestemmiamo meno. C'è bisogno di andare a cercare i social per attribuire responsabilità?
Non è vero che la felicità va sempre ritrovata nel passato (è bella l'immagine delle famiglie "a veglia" intorno al fuoco, ma non esisteva nemmeno la carta da culo), certo è che in tutte le nostre piccole comunità, almeno fino alla metà degli anni '60 dello scorso secolo ogni paese aveva la propria "piazza". Per piazza intendo un concetto, non un luogo fisico ampio e spazioso, ma un concetto:un luogo dove la comunità si riunisce, discute, si ubriaca, si picchia, si incontra, dimostra assenso o dissenso.
Gli uomini riconoscono le differenze del proprio prossimo imparando a conviverci, mescolandosi insieme a loro. A La Lima gli operai della mitica Cartiera Cini chiamavano "stranieri" i loro compagni di Popiglio. Persone che abitavano a soli 2 km di distanza!! Eppure in fabbrica faticavano assieme, mangiavano insieme, si innamoravano fra di loro. Quella era la piazza de La Lima! Morta la fabbrica è morta la possibilità di convivere, è morto il paese. In generale, i luoghi di lavoro e le loro pause erano delle piccole piazze per la montagna, i luoghi dove le piccole comunità sono andate a mescolarsi. Oggi si scappa, in luoghi anonimi dove non siamo individui ma folla, dove le opinioni non si contaminano ma si sviluppano in via autonoma e trovano libero sfogo (come sto facendo in questo momento) in piazze virtuali, rassicuranti ma finte, perché ci consentono di operare una selezione all'ingresso nel proprio network.
Discutiamo quindi col niente, con lo schermo, ritrovando una socialità vera quasi esclusivamente in serate tutte uguali, con musica assordante e bevute necessarie ad affermare machismo, non ad accompagnare momenti piacevoli.
La scuola forse è rimasta l'ultima vera piazza, nel senso più "vero" del termine: non esistono Pastori Serafino nostalgici di un passato privo di progresso, ma esiste un contatto genuino, vero fra esseri diversi, sconosciuti che diventeranno amici, avversari, semplici conoscenti.
Quello nella foto è uno dei resti di una piccola piazza popiglina:la festa campestre alle torri di Popiglio. Ammazzata dalle fughe,non dal progresso, il progresso è un bene necessario, non il male assoluto! Ecco perché non voglio perdere tempo a piangere tempi mai vissuti ma voglio essere parte della storia, voglio vivere la montagna, voglio partire da qui, per conoscere il mondo. La piazza non si crea con proclami ed atti politici. La piazza si vive.

mercoledì 23 novembre 2016

Basta scontro fra tifoserie: entriamo nel merito della Riforma costituzionale

Pubblicato su La Voce della Montagna del 18.11.2016

Cari amici de La Voce della Montagna
Fra meno di un mese, il prossimo 4 dicembre, saremo chiamati ad esprimerci con un “SI” o con un “NO” in merito alla Riforma Costituzionale “Renzi-Boschi” (Disegno di legge costituzionale A.C. 2613-D ).
La riforma in questione si proporrebbe di mettere mano a più di quaranta articoli della Costituzione della Repubblica Italiana, pertanto andrebbe a modificare radicalmente il nostro assetto istituzionale. Sarebbe un vero peccato se il corpo elettorale del nostro paese mancasse a questo appuntamento, anche se la cosa non mi stupirebbe pensando ai numeri delle ultime consultazioni elettorali di ambito nazionale e locale.
“Certo”, si dice,”per i referendum è diverso, si vota sul merito delle questioni”,”si può evitare di andare a votare turandosi il naso”, “siamo lontani dai cattivi esempi della mala-politica”. Non sono d’accordo. La politica (tutto l’arco parlamentare), cercando di reggere i ritmi necessari per innalzare l’applausometro, sta mostrando il peggio di sé.
Vorrei chiedervi quindi di dare una mano al mondo della politica, rompendo questa tendenza, varcando il limite dei “Tweet” (140 caratteri) ed incoraggiando esponenti della politica locale (destra, sinistra, civici, “grillini” etc.) ad inviarvi più o meno lunghe riflessioni su questo passaggio cosi’ importante per la storia della nostra Repubblica.
I nostri concittadini, non senza ragione, ricercano costantemente un contatto più intimo ed interattivo con il mondo della politica, rifuggendo da qualsiasi tendenza contraria. Per questo (forse) contributi come questo potrebbero risultare uno stimolo positivo per gli elettori della nostra montagna, magari anche per coloro che da anni tengono la tessera elettorale in un cassetto.
Mi permetto di inaugurare quella che spererei possa essere una fiumana di riflessioni verso la data del referendum. Non sentiremo né applausi né fischi, forse ben più salutari moti di pensieri che potrebbero aiutare il disorientato elettore medio.
Vengo quindi a spiegare le ragioni del mio “NO”Lo farò senza competenze specifiche (non sono certo un costituzionalista!), quindi sarei ben contento di ricevere feedback (anche negativi) da parte dei lettori. Nel corso della mia esperienza di capogruppo di maggioranza per il Comune di Piteglio ho avuto spesso modo di scambiare opinioni sul tema, contrapponendo la posizione mia a quella di altri esponenti della mia stessa maggioranza e ne sono uscito sempre arricchito, magari con qualche dubbio. Ecco, spero di essere in grado di suscitare in voi qualche dubbio. L’ho sempre trovato un punto di partenza importante per maturare un pensiero. Buona lettura!
http://lavocedellamontagna.it/2016/11/basta-scontro-fra-tifoserie-entriamo-nel-merito-della-riforma-costituzionale/

domenica 17 aprile 2016

Si, si, no


L'anno referendario in corso e la mia opinione sui quesiti





Il 2016 potrebbe rivelarsi un anno particolarmente vivace per la politica italiana, anche per la sinistra (pur confessandomi scettico).
I referendum non prevedono mezze misure. I sostenitori dei quesiti o vincono o perdono. Proprio questa caratteristica della democrazia diretta (intrisa di limiti), contribuirà a rendere interessante il 2016 della Polis-Italia. Un anno con almeno due referendum in ballo (che il premier ha scioccamente trasformato in voti sulla sua legittimità), un sacco di raccolte-firme per chiederne altri (dalla CGIL, non dalla Pro Loco di Monculi)...e nel nostro piccolo, una importante espressione popolare sul futuro dell'assetto istituzionale della Montagna Pistoiese, il referendum consultivo sulla creazione del Comune di San Marcello-Piteglio. 


17 APRILE - TRIVELLE 

Il primo referendum è quello che mi convince meno, almeno per la sua valenza politica e strategica (la questione della nostra riconversione energetica va discussa senza velleità, non con un "si"-"no").
D'altro canto, è inaccettabile l'astensione su una questione piena di ombre, ove si palesano intrecci fra Governo e grandi compagnie petrolifere. Senza sfociare nel giustizialismo becero. Se mi viene chiesto inoltre, di fermare concessioni perenni per trivellazioni che paiono venire incontro ai grandi monopoli energetici, più che alle esigenze del paese, "per me è SI".

8 E 9 MAGGIO - VIA LIBERA AL COMUNE DI SAN MARCELLO PITEGLIO

La fusione del Comune di Piteglio con San Marcello Pistoiese non può ammettere espressioni differenti da un "SI". La necessità di fare sopravvivere i comuni montani, di restituire loro dignità politica, si lega indissolubilmente al l'opportunità di immaginare un nuovo assetto amministrativo, per tutta la montagna, più vicino alle esigenze dei cittadini.

AUTUNNO - RIFORMA COSTITUZIONALE

Infine un netto "NO" alla guerra personale di Renzi sulla Costituzione. 
La Carta è una cosa seria, non una legge come le altre. È stato barattato un testo di riforma con la garanzia di una maggioranza da parte del centrodestra (che di per se è poco etico ma non scandaloso). Per questo fine, non un partito, una corrente (salvo l'eccellente tentativo di mediazione portato avanti da senatori come Chiti), ha previsto il cambiamento di più di 40 articoli con un colpo di spugna, in aperto contrasto con molti settori della vita sociale del paese. Si prevede lo svuotamento di competenze delle camere, senza prevedere un più dinamico monocameralismo (che nemmeno mi convince) né una rappresentanza federale da modello tedesco (che mi piacerebbe molto), bensì un senato di nominati fra cariche di rappresentanza territoriali, con criteri fumosi.

Infine, con una doccia di realismo, proviamo ad immaginare l'esito di queste prove di forza: la disfatta.
Nessuno è più in grado di chiamare le masse al voto "nell'interesse del Paese ". Gli elettori ci saranno, ma solo per partigianeria ("voto perché Renzi mi sta antipatico "). Il "Paese" sarà al mare.
Non sarà "peggio per loro", sarà peggio per tutti.

    

giovedì 25 febbraio 2016

La Riforma dei comuni italiani

Con questo articolo inauguro la mia collaborazione con Esseblog.
Giunti alla tappa di Cosmopolitica, nel pieno dell'ufficializzazione del laboratorio politico di Sinistra Italiana, cerco di portare l'attenzione del nostro dibattito (sempre altisonante) sugli enti locali, sul processo di riforma che coinvolgerà i piccoli comuni del nostro paese.
Buona lettura! Articolo LA RIFORMA DEI COMUNI ITALIANI


lunedì 11 gennaio 2016

SUL FUTURO ASSETTO AMMINISTRATIVO

Ho scritto, a nome della coalizione che rappresento nel Consiglio Comunale di Piteglio, una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Regionale, Eugenio Giani; al Presidente della Prima Commissione, Giacomo Bugliani; a tutti i Capigruppo del Consiglio Regionale.Nel documento esprimiamo la nostra posizione a proposito delle prospettive riguardanti la fusione del Comune di Abetone con il Comune di Cutigliano, da porre in urgente lettura per attivare una riflessione attenta e ponderata da parte dell'ente predisposto, Regione Toscana.Entriamo nel dibattito, coinvolti sia per la vicinanza territoriale che per le analogie che potrebbero manifestarsi nell'ambito del "nostro" referendum. Infatti, i prossimi 16 e 17 di aprile, i cittadini di Piteglio e San Marcello Pistoiese andranno ad esprimersi su un quesito simile a quello degli altri due comuni. I nuovi scenari che stanno introducendo il dibattito in proposito, ci preoccupano e rendono vane le nostre certezze in merito alla normativa, così come alla sovranità in materia da parte dei cittadini.





Ecco il testo della lettera:


Piteglio (PT), 10 gennaio 2016

Al Presidente del Consiglio Regionale

Al Presidente della prima commissione

Ai Capigruppo Consiliari



SUL FUTURO ASSETTO AMMINISTRATIVO DELLA MONTAGNA PISTOIESE


In data 12 gennaio p.v., la prima commissione del Consiglio Regionale Toscano, discuterà e si pronuncerà in merito al referendum consultivo, svoltosi lo scorso 30 novembre, nei comuni di Abetone e Cutigliano. Questa discussione andrà a decidere l'esito del progetto di fusione dei nostri "vicini di casa", i comuni sopracitati.

Non si è trattato del primo referendum in materia (il diciassettesimo) svoltosi nella nostra Regione. Parliamo di un tema di strettissima attualità che nella montagna pistoiese viene dibattuto ormai da tempo, alla luce delle diverse sensibilità, allo scopo di adeguare il nostro sistema delle istituzioni alla luce delle modificazioni in atto. Dapprima sono state proposte fusioni più ampie e, a nostro giudizio, strategiche per il futuro del nostro territorio, dirette alla creazione di un ente unico per l'intero comprensorio della montagna, un comune entro gli attuali confini di Abetone, Cutigliano, Piteglio e San Marcello Pistoiese.

Il nostro consiglio comunale ha avuto modo di esprimersi, anche recentemente, in maniera favorevole rispetto a questa ipotesi. Legittimamente, altri comuni non hanno condiviso questa prospettiva, orientandoci verso un'altra ipotesi: la creazione di due enti. Il primo comprendente i comuni di Abetone e Cutigliano ed un altro, distinto ente, da costituirsi entro i confini di San Marcello Pistoiese e Piteglio. I cittadini di Abetone, nell'esercizio degli strumenti democratici loro concessi, si sono espressi contro la fusione loro proposta con il Comune di Cutigliano.

Apprendiamo dalla stampa che il PD, Partito di Governo di Regione Toscana, avrebbe intenzione di modificare i criteri per la fusione dei comuni fin qui radicati in una prassi fortemente consolidata. Si legge, dagli orientamenti emersi in sede di Direzione Regionale, della possibilità di procedere con la formazione del nuovo comune prescindendo dal risultato referendario, o meglio, rimettendo di fatto all'espressione del comune di dimensione maggiore la facoltà di decidere.

Si sappia che, in vista del referendum che si celebrerà a Piteglio e San Marcello la prossima primavera, siamo fortemente preoccupati rispetto agli scenari che potrebbero palesarsi, nonostante il nostro parere, radicalmente favorevole, rispetto alle fusioni.

Le nostre preoccupazioni sono destate da alcune questioni che vorremmo porre alla vostra attenzione nella forma di altrettanti quesiti:


1. Per la prima volta l'espressione democratica diretta, manifestata con chiarezza da una autonomia, non verrà rispettata. Questo andrà ad incidere sulla legislazione in materia?

2. Negli otto comprensori ove si sono manifestate situazioni analoghe, verranno presi provvedimenti retroattivi?

3. Nei sei comuni dove i cittadini saranno chiamati alle urne che tipo di atteggiamento sarà mantenuto da parte del Consiglio Regionale?

4. I cittadini di Piteglio e San Marcello Pistoiese (confinanti con Abetone e Cutigliano) dovranno esprimersi su di un quesito analogo il prossimo aprile. Godendo delle influenze del provvedimento sui comuni vicini, non si teme una scarsa affluenza alle urne se non il manifestarsi di una tendenziale sfiducia ed ostilità nei confronti delle istituzioni, radicata in modo particolare nei comuni di dimensioni minori?


Questi interrogativi ci portano a giudicare negativamente la creazione del Comune di Abetone ­ Cutigliano con un provvedimento calibrato sulla singola espressione del Comune di Cutigliano. Difatti, nell'alveo di una volontà riformatrice, tale provvedimento non porterebbe ad una discussione complessiva e ad una possibile riforma strutturale dei piccoli comuni italiani, ma andrebbe a congelare la discussione sul singolo caso, andando a modificare la prassi in modo forzoso, senza adeguare la legislazione.

Dal momento che il voto dei cittadini, seppur consultivo, è ancora contemplato dal legislatore, questo deve aver egual rilievo a prescindere dalla dimensione della comunità che è chiamata ad esprimersi. Almeno fino a che un impianto normativo di diversa natura non vada a modificare le "regole del gioco". Vieppiù, le "regole del gioco" non possono essere modificate "in corsa". L'assunzione di atteggiamenti maggiormente stringenti da parte di Regione Toscana in materia di fusioni è legittima, ancorché auspicabile, ma l'introduzione di nuovi orientamenti non può prescindere né dalla conclusione dei processi in atto, né da un percorso di condivisione con i territori interessati.

Conseguentemente, se il Consiglio Regionale decidesse di procedere con la fusione dei comuni a noi contigui, l'imbarazzo, per noi, sarebbe tangibile. In queste ore, di fronte alla prospettiva evocata, lo scrivente gruppo ha avviato una riflessione al suo interno sugli eventuali atteggiamenti da tenersi, sia nei confronti dei cittadini durante la campagna referendaria, sia verso Regione Toscana a consuntivo del referendum in caso di diniego alla fusione da parte dei cittadini stessi. E comunque, negli scenari evocati, l'esito del voto sarebbe sicuramente dubbio, tale da compromettere anche la legittimazione dell'amministrazione comunale che stiamo guidando.

Chiediamo dunque una attenta riflessione da parte di tutte le componenti politiche del Consiglio, urgente ed importante per il futuro del nostro assetto istituzionale.



Ringraziando della cortese attenzione invio un saluto cordiale.

Per il Gruppo Uniti per Piteglio, maggioranza consiliare del Comune di Piteglio,


Il Capogruppo ­ Giulio Baldassarri

domenica 13 dicembre 2015

Renzismo a 5 stelle



Esiste un popolo, in gran parte cittadini abbandonati dalla sinistra, elettori stanchi delle sue dinamiche incomprensibili. Esiste un leader, dalla biografia celebre per sommi capi, tutti conosciamo la sua storia. Insomma, un "capo per amico".
Esiste poi un problema reale, da spingere sempre nel campo dell'avversario: "Fate terrorismo psicologico, siete voi il problema!", "Non avete fatto nulla per salvaguardare la situazione, farabutti!".
Il popolo con il leader diventa partito e senza filtri di garanzia, il problema permane e si macinano voti a destra e manca.
Questa fotografia mi è comparsa nella mente ieri sera, alle conclusioni della sezione locale del Partito a 5 Stelle di Beppe Grillo & Co.
La serata è stata molto interessante per i contenuti, piacevole per la compagnia (c'era molta sinistra nella sala della SOMS Baccarini, a San Marcello) e seria nell'approccio alla materia.
Difatti, ascoltavamo una descrizione, puntuale, dell'approccio del PD regionale in materia di sanità, la critica alla foga centralizzatrice (riduzione delle ASL), l'incapacità delle strutture politiche di salvaguardare la chirurgia dell'Ospedale Pacini di San Marcello Pistoiese. Anche gli oratori erano di livello: Ferrari, Ricci, Bobini, Buselli, politici intelligenti, espressione del civismo.
Io, nonostante non provi nessuna simpatia per il "MoVimento", ho voluto partecipare all'iniziativa. Sono amministratore di un comune della Montagna Pistoiese, come tale non rappresento Sinistra Italiana, SI - Toscana a Sinistra o altro. Sono stato eletto per rappresentare tutti i cittadini, per tanto, ritengo doveroso ascoltare tutte le voci, specie su di un argomento cosi' importante, cruciale per il nostro futuro.
Per concludere la serata hanno preso parola i consiglieri regionali pentastellati.
Il cons. Enrico Cantone, sostenendo che il PD "fa fare quello che vuole, con le sue leggi, agli stranieri che non ci fanno dormire sicuri", ha introdotto il cons. Andrea Quartini, cominciando l'intervento con un elogio di se stesso e dei 5 Stelle. Poco male, era una iniziativa di partito, funziona cosi'! Il tratto comico si è palesato dopo, quando Superman ha gonfiato il petto, sputando fuori un "quando vinceremo noi, vi prometto che riapriremo tutti i piccoli ospedali!".
E' normale che questi personaggi si tramutino in politici di professione che, oltre a rimarcare ciò che gli unisce a noi di sinistra (il rispetto del referendum, l'accusa al PD regionale), cerchino ogni occasione per guadagnare consenso con l'elettorato passivo... ma proprio con i toni ed i modi dell'odiato Matteo? A quando gli ottanta euro?
C'è bisogno, qui in montagna, della passione e della fame manifestata dagli auditori di ieri sera...,ma c'è bisogno anche di tanta politica che non faccia dire ai leader quello che vogliono!
Speriamo che si possa combattere la battaglia per la sanità, tutti uniti ma senza galli nel pollaio.

mercoledì 28 ottobre 2015

Il documento approvato dall’Assemblea Nazionale di Sinistra Ecologia libertà

L’Europa ferita a Calais, a Ventimiglia, muta di fronte al corpicino di Alyan in fuga dal fronte di Kobane, lontana dalle bombe di Ankara, l’Europa delle vergogne appese sugli scogli di Lampedusa assiste silente ad un evento di portata storica, l’attraversamento di migliaia di persone in fuga da guerre e povertà. Evento che da un lato rafforza le paure alimentate dagli impresari del terrore e dunque dal fuoco razzista. Dall’altro la straordinaria vicenda dei cittadini viennesi accorsi in soccorso di una umanità in cammino ci consegna nuove speranze e nuove responsabilità. La storia si è rimessa in cammino, sulle gambe di un esodo in cerca di pane e futuro.
Una Europa che non riesce a cogliere il drammatico ritorno della guerra come strumento brutale di composizione di controversie tra Paesi e soprattutto come leva di un neocolonialismo nazionale che nutre i sogni di gloria e di egemonia dei governo di Russia, Francia, Gran Bretagna, Turchia e anche degli Stati Uniti. Il ritorno della guerra come unica politica capace di affrontare il groviglio medio orientale, scelte strumentali che, spesso, invece di combattere la pervasività e la forza dello Stato islamico, ne utilizzano il portato di terrore per regolare conti storici, come fa la Turchia in Kurdistan, o per cambiare le mappe geografiche e le sfere di influenza.
Una Europa matrigna che ha tradito il proprio compito storico e che assiste distratta all’apertura di questi scenari bellici senza neanche provare a svolgere la funzione di mediazione e dialogo tra le due sponde del Mediterraneo. Una Europa violenta anche verso i popoli che la compongono.
Come è accaduto in Grecia dove la vittoria straordinaria di Syriza ripristina uno spazio dialettico dagli esiti, tuttavia, ancora incerti. La partita che l’oligarchia europea a guida tedesca sta giocando contro la Grecia di Tsipras è ancora in corso ed è tutta politica, per nulla tecnica, ideologia pura, volontà di potenza per reprimere sul nascere qualsiasi contagio democratico.
Persino la razionalità tecnica avrebbe consigliato maggior cautela, come dimostrano le parole degli economisti Stiglitz e Piketty, su come mettere la Grecia nelle condizioni di pagare l’1,6 miliardi al FMI favorendo uno swap del debito con titoli BCE in cambio di bond dal fondo di salvataggio con scadenze più lunghe e tassi d’interesse più bassi. O la insistenza dello stesso Piketty sulla convocazione di una conferenza sulla ristrutturazione del debito. Solo per dire che le soluzioni tecniche esistono. Così come sul piano politico si aprono squarci nel granitico fronte dell’austerità, come dimostrano i sommovimenti che attraversano il mondo socialista dal Portogallo alla Francia fino alla stessa Germania.
O ancora meglio lo scenario inedito che la crisi finanziaria cinese offre per rovesciare l’assetto economico imposto al continente dall’austerità. La svalutazione dello yuan voluta da Pechino potrebbe aprire uno spiraglio per il rilancio di politiche espansive nell’Eurozona.
L’eurozona, sin qui, ha tentato una strategia di uscita dalla crisi identica a quella cinese: puntare al surplus delle partite correnti spingendo sull’export in modo sbilanciato rinunciando allo sviluppo della domanda interna. Una strategia vulnerabile e per nulla cooperativa, perché basata sui propri guadagni a scapito dell’altro, è fallita in Cina come in Europa.
E la piega distruttrice che ha preso l’Europa non c’entra con la moneta e la sovranità monetaria, non c’entra con il primato tecnocratico, c’entra con la politica, con scelte esclusivamente politiche. Oligarchiche e politiche. E non c’è salvezza nella inversione ad U che riconsegna l’orizzonte agli Stati nazionali. Meglio, molto meglio continuare a battersi sul terreno europeo, l’unico possibile, l’unico che può determinare una qualche inversione di tendenza di lunga durata. Magari prendendo sul serio l’elaborazione che ha portato i curdi, a cavallo del limes, ad abbandonare l’idea del potere connessa allo stato nazionale, avviando invece una rielaborazione straordinaria che pone l’accento sulla dimensione territoriale, la democrazia integrale e la cooperazione tra comunità, generi, vivente umano e non umano. Non comunità di destino né piccole patrie ma l’esercizio quotidiano dell’autogoverno e dell’autoeducazione al cambiamento, alla democrazia paritaria. Praticare l’orizzonte europeo significa partecipare a questa impresa rafforzando i presidi territoriali presenti in ogni singolo Paese.

La vittoria di Syriza alle elezioni con quasi due milioni di voti e oltre il 35% dei consensi è un’affermazione costruita nel tempo, investendo sulla credibilità di Tsipras e la presenza capillare del partito nelle pieghe della società. In barba a tutti i sondaggi più o meno interessati. I greci hanno dimostrato, ancora una volta, di volere il cambiamento e che non hanno alcuna intenzione di farsi governare da chi li ha portati nel baratro.
In questo contesto il protagonismo di Syriza e il coraggio del popolo greco hanno squarciato il velo dell’ipocrisia: un atto politico, democratico come il voto greco non solo sancisce che la sovranità popolare non è soggetta a nessun vincolo tecnocratico, ma apre un tenace scontro politico tra politica ed economia, tra democrazia ed oligarchia.
Così ha chiosato Alexis Tsipras, rivolgendosi alla piazza,
“Un mandato per la dignità del popolo, in Grecia e in Europa. Da domani inizia la lotta. Siamo duri a morire.”
Il terzo successo consecutivo in meno di un anno. Una sfida, la sua, contro la destra tecnocratica europea che ha provato ad umiliare la Grecia in ogni modo, e contro la sinistra incapace di fare i conti fino in fondo con il vincolo di popolo.
Tsipras e Syriza hanno riaperto la partita: oggi è possibile agire apertamente il conflitto contro un sistema economico che impone la diseguaglianza e che è stato raccontato come ineluttabile; contro coloro che in questi anni hanno fatto la guerra ai poveri invece che combattere la povertà. Contro l’oligarchia dei pochi per la democrazia dei tanti. Tsipras non si può dimettere dal suo popolo.
Per questo ribadiamo quanto già espresso in altri dispositivi:
“occorre una conferenza europea sul debito, non solo per la Grecia che ne ha necessità, ma per tutto il sud Europa. Serve un nuovo modello di sviluppo, basato sulla giustizia climatica, sui diritti del lavoro e di libertà.
Perché questo obbiettivo sia credibile è necessario rimettere radicalmente in discussione i trattati che hanno condannato l’Europa ad un puro spazio mercantile e contabile, incapace di uscire dalla crisi con politiche espansive e redistributive.”
In questo contesto e nel vivo di questa battaglia su scala continentale si colloca la possibilità di ridare forza e dignità alla politica e alla sinistra anche nel nostro paese. Il tema non è la fusione a freddo della galassia che è proliferata sulle divisioni, i risentimenti e il minoritarismo. Si tratta piuttosto di cogliere segnali di controtendenza che arrivano da diverse parti d’Europa.
Segnali, possibilità di una controtendenza capace di attraversare l’Europa scossa da una crisi di visione e di identità. Come il vento antirazzista che scuote muri e pensieri corti. Come la vittoria alle primarie Labour di Corbyn. Come Podemos in Spagna e il riposizionamento del socialista Sanchez sempre nella penisola iberica. Come in Portogallo dove il partito dell’austerity perde oltre 30 seggi e il Bloco de Esquerda, guidato da Caterina Martins e Mariana Mortágua, ottiene il 10,2%, riaprendo per questa via persino la dialettica per il governo del Paese da realizzare con i socialisti. Come le parole di papa Francesco a L’Avana sulla centralità della persona. Come l’importante conferenza di Parigi sul clima dove si concentreranno sul piano istituzionale e non movimenti e intelligenze pronti a battersi contro le scelte che determinano il riscaldamento globale e le emissioni di gas serra. Molti semi e qualche frutto capaci di dare fiato ad una battaglia che deve dispiegarsi sul piano europeo e anche in ogni singola comunità locale.
Come scrivevamo già a luglio
“si tratta di raccogliere i semi che quel vento può portare: semi di democrazia prima di tutto, ma anche semi di uguaglianza e di libertà da far crescere come originali e peculiari azioni politiche. Semi i cui frutti restituiscano al lavoro la dignità che le riforme imposte ai paesi del sud dalle istituzioni europee stanno distruggendo, cancellando diritti e tutele, desertificando il terreno del welfare tradizionale e sterilizzando le forme di nuovo welfare che sorgono spontaneamente come strategia di alternativa alla crisi, come auto-organizzazione, e anche nella forma di rivendicazione di futuro avanzata dai corpi sociali iper-precarizzati, figli del ventennio neoliberista.”
Contemporaneamente il governo Renzi porta a conclusione un primo imponente processo di controriforme, a partire da quella della scuola, dove l’etichetta ‘buona’ suona come un beffardo ossimoro, in un Paese in cui i processi di dequalificazione degli apparati formativi producono lo scandalo del sistematico definanziamento della ricerca e dell’università; il Job Act, dove l’ultimo presidio di lavoro tutelato trova un crepuscolo lungo tre anni o la recentissima approvazione del DDL Boschi che marginalizza il Senato e nel combinato disposto con l’Italicum fa saltare gli equilibri democratici e affida ogni decisione al premier.
Inoltre l’interruzione da parte di Confindustria delle trattative sul nuovo modello contrattuale sono un vero e proprio invito al governo ad intervenire unilateralmente sulla materia . Tale intervento non solo produrrebbe un taglio drammatico delle retribuzioni, ma renderebbe il ruolo sindacale del tutto irrilevante. Muterebbe la natura del conflitto sociale nel paese fino a renderlo marginale ed ininfluente.
La legge di stabilità,al di là della becera propaganda, non inverte la tendenza alla svalorizzazione del lavoro. Abbiamo il dovere, in sintonia con le organizzazioni sindacali, di promuovere una mobilitazione democratica al fine di provare a mutarne l’indirizzo. Si regalano risorse ingenti ai proprietari di grandi e lussuose abitazioni, ville e castelli e si nega la flessibilità pensionistica necessaria dopo le ingiuste misure della Fornero. Una miseria destinata ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego dopo anni di blocco dei salari e nessun investimento pubblico in grado di dare lavoro stabile e qualificato e magari mettere in sicurezza il territorio devastato dalle conseguenze dei mutamenti climatici. Si taglia sulla sanità pubblica e si porta incredibilmente, nel paese con il più alto livello di evasione e corruzione, la possibilità di utilizzo del contante da 1000 a 3000 euro in controtendenza rispetto a tutti i tentativi di contrasto dei fenomeni illegali e malavitosi. Non si sfugge all’odiosa considerazione che si privilegia la rendita immobiliare e finanziaria in danno del lavoro.
Dunque, il nostro giudizio sull’azione del governo Renzi rimane drasticamente negativo.
Per contrastare questo processo di chiusura di spazi democratici intorno alla verticale del potere che sostiene Renzi, Sel investe tutte le proprie forze, energie e cultura politica in un nuovo inedito processo. Un percorso fondato su cultura politica, processualità democratica e ambizione di governo, di alternativa di governo. Il centro-sinistra non c’è più, scassato dall’affermarsi di una interpretazione trasversalista, personalista e opportunista dello spazio di governo: spinta fin sulla soglia di una spericolata e inedita legittimazione dei fenomeni di trasformismo. E’ dunque a partire da questa novità e dentro questo quadro che si colloca la stagione delle prossime elezioni amministrative. Il voto in molte città tra le quali alcune delle più grandi e importanti del Paese rappresenta un passaggio di particolare importanza. In quelle elezioni si deciderà della vita delle città e di chi le abita ma contemporaneamente un voto di queste dimensioni assumerà il senso di un voto sulle politiche di governo della crisi e sulle loro conseguenze locali e nazionali. Per noi non si tratta di stabilire regole astratte che da Roma calino sui territori in modo automatico e meccanicistico. Consideriamo necessario difendere e lavorare per dare continuità a quelle esperienze che nel governo concreto delle città hanno saputo guadagnare le caratteristiche di laboratori politici e amministrativi. Proprio per questo però è necessario che, ovunque non si verifichino queste condizioni, l’impegno di Sel sia rivolto alla costruzione di percorsi innovativi e autonomi che, a partire da qualificate proposte di governo locale e dalla definizione partecipata di percorsi plurali, mettano in campo un punto di vista alternativo e competitivo.
Per farlo sarà necessario avere il coraggio dell’innovazione e del cambiamento, a partire da un grande lavoro di ricerca culturale e programmatica, autonomo e alternativo. La connessione tra saperi e politica, tra competenze e soggettività, da realizzare in un grande evento da mettere in scena entro dicembre. Evento preceduto da un primo passo fondamentale, l’unificazione dei gruppi parlamentari.
L’unificazione dei gruppi e l’iniziativa di dicembre come start up di un processo che dovrà inevitabilmente vivere sul territorio, nelle professioni, in ambiti tematici a noi cari, dall’ecologia ai beni comuni, dalla democrazia paritaria al municipalismo, dal lavoro dipendente all’economia collaborativa.
Non intendiamo dare vita ad un nuovo soggetto politico fondato su un meccanismo pattizio, di accordo tra gruppi dirigenti. Sempre nel dispositivo di luglio proponevamo un approccio diverso:
“la costruzione di un sentire comune e un’intenzione condivisa, quella di lasciare che si dispieghi l’intelligenza della partecipazione, della creatività sociale, della solidarietà concreta e quindi di una democrazia integrale capace di dare valore ai singoli e di costruire virtuose relazioni sociali.”
Avviare il processo con generosità e giocarsi l’eventuale contesa di linee nell’unico spazio possibile, quello dove vige una testa un voto.
Per questo proponiamo a tutte le personalità e le realtà della sinistra di affrontare insieme una nuova sfida: condividere una carta dei valori comune, un programma minimo su cui poggiare, e una pratica democratica fondata sulla centralità dei singoli, intercettati sul territorio o in rete grazie alla piattaforma digitale.
Vogliamo evitare gli errori del passato, il minoritarismo, il meccanicismo e la riproposizione di una equazione che accompagna, da una decina di anni, i fallimentari tentativi di riaggregazione a sinistra, quella fondata sulla idea di costruire un progetto politico per contrarietà, a partire da vicinanze o lontananze dal PD, come se, per battere la vocazione maggioritaria bastasse enunciare una sorta di predisposizione minoritaria. E vogliamo altresì batterci contro le derive opportunistiche e trasformistiche di quel governismo che non è cultura di governo ma solo ansia, spesso scomposta, di potere.
In questo senso sarà decisivo lavorare sulla cultura politica del nuovo soggetto, affinché possa vivere come una opzione credibile, visibile, tangibile, di una sinistra capace di “connessione sentimentale” con un popolo largo. La questione è cosa siamo, quali interessi vogliamo rappresentare, quale visione del mondo orienta la nostra agenda quotidiana, quale narrazione offriamo a corpi sociali sempre più frammentati e sempre più bisognosi di speranza. Il tema è prendere confidenza con la nostra anima (piuttosto che specchiarci di rimbalzo in quella altrui).
Cultura politica, pratica democratica e ambizione di governo sono le basi su cui poggia l’iniziativa per avviare un nuovo processo a sinistra.
Per queste ragioni, come già deciso nella assemblea di luglio, impegniamo Sel ad ogni livello nella costruzione di un soggetto politico che abbia l’ambizione di presentare al Paese una proposta di governo autonoma, e per questo alternativa e competitiva a quella di Matteo Renzi. Si tratta di ricostruire il punto di vista di una sinistra ecologista, laica, dei diritti e del lavoro che torni a parlare all’Italia e ad agire in Europa. Non amiamo le vocazioni maggioritarie e sappiamo che dirsi di governo, cioè porsi l’ambizione di una proposta all’altezza della complessità, significa porsi il tema della politica delle alleanze. Oggi, sul piano politico, un’alleanza col Pd di Matteo Renzi non è neppure immaginabile, perchè sarebbe la sconfessione delle nostre battaglie e proposte. Allora, anche perché la politica delle alleanze da fattore di cultura politica torni ad essere opportunità concreta per il cambiamento, occorre ridare forza e consistenza ad una sinistra che, come avviene in tutta Europa, cresce quando con forza e innovazione mette radicalmente in discussione le ricette che hanno caratterizzato la proposta del Socialismo Europeo nel governo della crisi, e lavorare alla costruzione di una piattaforma comune con quanti da dentro, come Corbin, e da fuori come Tsipras, Podemos e i Verdi europei indicano una strada radicalmente diversa.
Avere il coraggio di muovere in questa direzione è il compito che ci assumiamo.
 Approvato dall’Assemblea nazionale di Sel a larga maggioranza nessun contrario 2 astenuti

Fonte: http://www.sinistraecologialiberta.it/notizie/il-documento-approvato-dallassemblea-nazionale-di-sinistra-ecologia-liberta/